Il 30 aprile mi sono recato a Berlino ed ho potuto assistere alla Traviata di G. Verdi al teatro della Deutsche Oper di Berlino.

Il teatro in sé è un complesso contemporaneo risalente al 1961 e consiste in una grande platea al parterre e due file di gallerie ai piani superiori. Il vantaggio di questa struttura è che la visuale è ottima quasi da qualsiasi posto. Non posso fare eguali elogi per le poltroncine.. scomode e non propriamente pulite.

L’allestimento del regista Götz Friedrich è un misto fra allestimento contemporaneo/allestimento tradizionale/traviata da teatro di quint’ordine. Associa interessanti trovate (come ad esempio la corsa disperata di Violetta verso l’ultima porta che si sta chiudendo prima di restare da sola alla fine della scena del Brindisi), a trovate imbarazzanti quali la “corsetta” del coro nel “si ridesti in ciel l’aurora”.  In generale, non penso sia un allestimento che lascerà memoria nella storia.

La Direzione è invece affidata a Gian Paolo Bisanti che riesce a gestire bene l’orchestra, nonostante alcune sezioni (ad esempio i violini primi) abbiano una costante fretta di terminare lo spettacolo (come ad esempio nel controcanto ai violoncelli nel preludio). In generale l’orchestra esprime un colore più tedesco, determinato da una quasi eccessiva precisione ritmica, alla quale però non corrisponde sempre un vero e proprio suono di assieme, e al quale manca indubbiamente il respiro del fraseggio delle orchestre italiane in questo genere di repertorio.

Il coro, preparato dal Maestro Thomas Richter, invece risulta sempre abbastanza “a rimorchio”, soprattutto le sezioni maschili, mentre a quelle femminili manca un po’ di suono, rendendo quindi poco chiara la melodia nel suo complesso: vero è che gli elementi erano assolutamente insufficienti per un opera di Verdi in uno spazio tanto vasto. Peccato.

Veniamo ai solisti: regina indiscussa di questa Traviata rimane Patrizia Ciofi che, pur con tutte le difficoltà tecniche della parte e una grande carriera alle spalle, produce nel pubblico forti emozioni, facendosi perdonare qualche furbizia del mestiere. Personalmente, trovo che sia una vera artista, e avendo avuto l’onore di cantare alcune recite di Traviata con lei, posso solo ribadire la sua estrema professionalità ed intensità.

Il tenore Antonio Poli, anche se poco interessante a livello interpretativo del personaggio, sfoggia una bella voce molto ampia nel registro centrale, ma che poi non sale agevolmente negli acuti tanto che non eseguirà il “do” nell’allegro della sua aria del secondo atto (..non è scritto nello spartito.. però è ormai consolidata tradizione).

Giorgio Germont è il baritono Dong-Hwang Lee, di giovane età, e forse prematuramente arrivato a questo ruolo che richiede ben altre capacità interpretative; purtroppo anche l’intonazione era spesso imprecisa.

Flora e Gastone, interpretati da Abigail Lewis e Matthew Newlin, mancano evidentemente due interventi solistici della loro già esigua parte.. e non si distinguono particolarmente nel resto dello spartito.

Molto gradevole la Annina di Adriana Ferfezka che sfoggia una voce ben proiettata e una bella disinvoltura sul palcoscenico.

Di medio livello gli altri comprimari, il barone Duphol di Stephen Bronk, il marchese D’Obigny di Thomas Lehman, il dottor Grenvil di Alexei Botnarciuc e Giuseppe di Paul Kaufmann, quest’ultimo forse una tacca sopra agli altri.

In generale sono rimasto un po perplesso dalla qualità dello spettacolo e la riflessione è andata subito all’Italia; suggerirei ai Signori Ministri che continuano a tagliare fondi alle Fondazoni Liriche italiane di andare a farsi un giro all’estero a verificare se davvero quello che facciamo in Italia è della stessa qualità di quello che viene proposto all’estero, o se rimane un cammeo della sola cultura italiana.